Il nome
Un primo tema di questa liturgia d’inizio dell’anno è quello del nome. Questo, nella sensibilità biblica, non è semplicemente un’indicazione di tipo anagrafico, ma è piuttosto il veicolo in cui è racchiuso e rivelato il mistero profondo di una persona, la sua caratteristica e il compito che le è affidato nella storia della salvezza. Possiamo dire che per la Bibbia amare significa chiamare una persona per nome, cioè desiderare e impegnarsi affinché sia stessa, affinché cresca nella sua identità profonda fino alla completa affermazione nella vita. In tal senso, per la Bibbia il nostro nome è presso Dio e solo Dio lo conosce. Come canta il salmo, Dio conta il numero delle stelle e le chiama una ad una per nome, e come delle stelle così di ogni filo d’erba e goccia d’acqua. Quanto più il nome di noi, uomini e donne, è custodito da Dio, che in noi ha impresso la propria immagine. Il suo amore chiama ognuno di noi per nome.
Anche Gesù ha un nome, che ne connota la persona e la missione. Jeshua vuol dire «Dio salva», dunque Gesù si rivela il salvatore fin dal suo nome. E la salvezza ch’egli realizza consiste nel metterci sulle labbra il nome di Dio, quello rivelato dalla seconda lettura in cui Paolo utilizza una delle ipsissima verba Jesu, la parola abbà, con cui Gesù si rivolge a Dio nel momento drammatico del Getsemani, e che rivela una vicinanza inaudita a Dio proprio nel momento in cui farne la volontà era più difficile. Ma questo è il nome di Dio: non l’Onnipotente, l’Altissimo, l’Eterno, l’Assoluto, l’Infinito, ma abbà, papà, babbo, colui che è l’origine della vita e alla fortezza del padre unisce la delicatezza della madre. Perciò, con trepidazione, rivolgendoci a Dio, «osiamo dire» a lui che è Abbà.
Il volto
Un altro tema è quello del volto. Esso viene indicato dalla benedizione aronitica come splendente sopra gli Israeliti. Ma il volto di Dio nessuno lo ha mai visto, com’è giusto che sia, altrimenti non sarebbe il Totalmente Altro. Quello che è inaccessibile si rende visibile nel bambino del presepe. Dio nessuno lo ha mai visto, ci ha ricordato nella liturgia di natale il prologo del quarto vangelo, ma Gesù ce lo ha rivelato. Gesù è il visibile dell’invisibile. Chi Dio è ci diviene accessibile nell’umanità del Verbo incarnato. Il desiderio di vedere Dio, che da millenni l’uomo si è ritrovato dentro la carne e l’anima, diventa realizzabile a Natale nel Bambino su ci si posano gli occhi di Maria e di Giuseppe e dei pastori. Gesù è il volto di Dio.
Il cuore di Maria, il canto dei pastori
Come sarà il prossimo anno? Tutti ci auguriamo migliore del precedente, ma è bene essere realistici: non sarà molto diverso dal vecchio. Ce lo ricorda Leopardi nel Dialogo tra un passeggere e un venditore di almanacchi: «P. Credete che sarà felice quest’anno nuovo? V. Oh illustrissimo si, certo. P. Come quest’anno passato? V. Più più assai. Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi? Venditore. Signor no, non mi piacerebbe. P. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo? V. Signor no davvero, non tornerei. P. Oh che vita vorreste voi dunque? V. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti»… Al di là del pessimismo di Leopardi, bisogna dire che in realtà la differenza tra il 31 dicembre e il 1° gennaio è solo in un cambio di agenda o, appunto, di calendario. Conviene allora munirsi della Parola di Dio più che di un almanacco, e imparare ad affrontare il 2009 da alcuni protagonisti della pagina evangelica.
Di Maria santissima prenderemo a modello il cuore. Nel proprio cuore ella compiva il gesto del custodire, che un gesto di attenzione. In questo periodo avremo ricevuto un po’ di regali, ma forse già alcuni di questi hanno subito la triste sorte del riciclaggio, mentre quelli che abbiamo custodito avevano evidentemente un valore. E dobbiamo imparare da Maria anche il meditare, che è il gusto della ricerca del senso, di rintracciare la traiettoria dei nostri passi. Si tratta cioè d’imparare a vivere nella consapevolezza e senza superficialità, non ricorrendo di continuo i nostri impegni ma sapendo prenderci del tempo per rientrare in noi stessi e considerare i segni con cui Dio ci si manifesta.
Dai pastori dobbiamo imparare a lodare e glorificare Dio, cioè a ringraziarlo, a riconoscere i suoi benefici, che sono innumerevoli. Anzitutto il dono della sua misericordia, che non ci viene mai negata ogni volta che dobbiamo fare i conti con la realtà del nostro peccato e della nostra miseria. E poi i doni del cosmo in cui siamo inseriti, e della storia con ogni stilla di dolcezza che ci viene elargiti. Ma in modo unico dobbiamo ringraziare Dio per il dono di Gesù, intorno al quale ruotano Maria e Giuseppe e i pastori. Che sarebbe di noi, se non ci fosse stato donato questo bambino? Ringraziamo Dio per il nuovo anno e restituiamogli quanto riceviamo facendo di Gesù il nostro Oriente, Gesù che è nato da donna e ci rivela il nome e il volto di Dio ed è il Signore del cosmo della storia.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo