«Io sono…»
Il quarto Vangelo contiene una serie di affermazioni che il Signore Gesù pronuncia introducendole con l’espressione «io-sono». Non è un semplice predicato nominale, ma è il richiamo al nome che di sé Dio rivela nel Primo Testamento a Mosè, parlando dal roveto ardente: YHWH, «Io-sono», appunto, a dire che Dio è l’Essere assoluto che non dipende da altri ed è il fondamento di tutti gli altri esseri; ma anche e meglio «Io-ci-sono», ad indicare la vicinanza attiva di Dio in un momento di gravissima fragilità del popolo. Ecco, Gesù pronuncia una serie di affermazioni introdotte dall’«Io-sono»: la luce del mondo, il pane disceso dal cielo, l’acqua viva, la risurrezione…
«… la vite vera»
Troviamo oggi l’autoaffermazione per cui il Signore si definisce la vite vera. Siamo figli del Mediterraneo e dappertutto fioriscono vigneti. Tutti in qualche modo sappiamo che si tratta di giardini gradevolissimi ma delicatissimi, ai quali bisogna prestare cura con mano delicata e ferma. Si può sopravvivere anche solo con il pane e l’acqua. Il vino che si trae dalla vite, è però il simbolo della vita in pienezza, della vita nella dimensione di gioia, della comunione e della festa. Ma sullo sfondo della pagina giovannea ve n’è un’altra di Isaia, nella quale Dio si lamenta che il popolo, paragonato ad una vigna scelta, non ha corrisposto all’offerta di alleanza ed ha perciò prodotto uva acerba. Gesù è perciò la vera vite, in quanto è l’unico realizza il disegno del Padre su di lui, e non fallisce con la disobbedienza ma con l’obbedienza adempie pienamente la volontà di Dio. Su questa immagine si inseriscono tre annunci.
Il Padre è il vignaiolo. La vite e i tralci esistono perché sono sostenuti dal progetto d’amore del vignaiolo, che ha piantato, e che cura la vigna con le sue mani ferme e delicate. Noi esistiamo perché il Padre in Gesù ci ha pensati e voluti, e ci sostiene prendendosi sapientemente e teneramente cura di ognuno di noi. Gesù è la vite, l’unico nel quale il nostro bisogno di vita in pienezza può trovare accoglienza e realizzazione. Ma noi uomini siamo i tralci. I tralci esistono in quanto suggono la linfa dalla vite. Noi siamo coloro che non hanno in sé la fonte della vita, siamo radicalmente dipendenti da una fonte esterna a noi, siamo — in somma — creature. Senza Gesù, non possiamo fare nulla. In Gesù troviamo noi stessi. Gesù ci è necessario.
Rimanere in Gesù
Davanti a noi due possibilità: slegarsi da Gesù e perdersi come il tralcio secco con cui non si può fra nulla se non buttarlo nel fuoco, o rimanere in Gesù. Il verbo rimanere è tipico del quarto vangelo, e ricorre molte volte in questo breve testo. Il rimanere è una declinazione dell’amore. Quando si ama, infatti, l’amante abita totalmente nella persona amata: pensa a lei, si chiede dove sarà, cosa starà facendo, orienta ogni sua scelta in funzione di lei. E reciprocamente, l’amante s’aspetta che la persona amata non abbia occhi, parole e affetti che per l’amante stesso. Quando si ama, si va ad abitare nella persona amata e reciprocamente: si abita l’uno nell’altro. «Rimanete in me, ed io in voi»… Che cosa sta chiedendo Gesù, se non di lasciarci amare da lui, e di riamarlo? Gesù ci chiede amore, ci chiede di poter senza riserve abitare in noi e di scegliere di abitare in lui. Le fonti dicono di Francesco che era «tutto pieno di Gesù»… Essere cristiani è impossibile se non sappiamo amare; ma è facile e bello, se sappiamo amare.
La potatura per portare molto frutto
La nostra vita è ingombra di occupazioni inutili o dannose. Ma questo non sarebbe ancora la potatura, bensì l’eliminazione del fogliame inutile o degli acini mal cresciuti. La potatura invece incide sensibilmente sul legno. Ma la comprendiamo se comprendiamo anche che cosa sia portare frutto. Oggi, infatti, la cultura di moda ci trasmette messaggi sul «benessere», sulla «qualità della vita»… Portare frutto è un’altra cosa. Amare è il vero frutto, amare è ciò che il Padre di Gesù si attende da noi, e amare non è possibile senza un po’ di sacrificio, senza un po’ di sofferenza… Il vero frutto è arrivare ad imparare ad amore come Gesù ci ha amati sulla croce. Perciò – misteriosamente ma realmente – la provvidenza del Padre dovrà potarci, affinché siano riprodotti in noi i caratteri del Figlio, con le sue stigmate. Ma ne vale la pena. Vale la pena di essere quelli che — nell’ambiente dove sono piantati — amano per primi, amano più degli altri. Vale la pena di amare come Gesù, e in lui con la nostra vita portare il frutto abbondante dell’amore.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo