Potremmo intitolare la pagina evangelica di questa domenica: «Gesù fa l’esperienza di essere disprezzato e rifiutato». Il vangelo di Marco descrive in termini di ‘scandalo’ la reazione dei nazaretani, ma il corrispondente nel vangelo di Luca è molto più pesante e riferisce che addirittura i suoi paesani volevano gettare Gesù giù dall’alto di una rupe. L’esperienza di Nazaret non comunque altro se non un’anticipazione dell’esito finale della missione di Gesù, il quale ha illuminato e guarito ma nella croce è stato comunque colpito dalla violenza che giace nel cuore di ognuno di noi. L’evangelista Marco doveva inserire questo episodio ‘scandaloso’ per sostenere i suoi cristiani, quelli cioè della comunità di Roma, i quali erano ben poca cosa nel contesto della megalopoli che era caput mundi: nella Roma della potenza imperiale e del raffinatissimo pluralismo religioso e culturale, i cristiani si ritrovavano appunto rifiutati e disprezzati. Confrontarsi col modello di Gesù era allora per la comunità primitiva un importante sostegno. L’esperienza era del resto anticipata (è la prima lettura) da quella del profeta Ezechiele, inviato a predicare ad una «genia di ribelli, figli testardi e dal cuore indurito». Ed è prolungata in Paolo, il quale pure si trova a gestire «una spina nella carne, un messo di satana inviato a percuoterlo» (è la seconda lettura).
La forza si manifesta pienamente nella debolezza
È questa è una legge fondamentale che vale innanzitutto per l’agire di Dio, il quale sceglie di manifestarsi in modo rovesciato, sceglie di dimostrare la sua potenza nella debolezza, la sua sapienza nella stoltezza. Dinanzi a questo stile, la reazione dei nazaretani, e dei giudei che cercano la potenza e dei greci che cercano la sapienza, e infine di noi qui e oggi non può che essere una: lo scandalo! «Può Dio essere legato ad un carpentiere? Può Dio essere legato ad un bambino che giace in una grotta? Può Dio essere legato ad un uomo crocifisso?». Ma Dio ha scelto di rivelarsi, «spiazzando» il mondo. Chiediamo il dono dello Spirito Santo, per inchinarci con umiltà dinanzi alla divinità di Dio, dinanzi al mistero del suo essere e del suo agire.
Ma questa legge vale anche per l’uomo. Anche a noi capita di entrare nel mistero della fragilità. Gesù ha fatto tutte le esperienze che facciamo noi nella nostra storia: ha amato come noi, ha gioito come noi, ha sofferto come noi, ha sperimentato il disprezzo ed il rifiuto come noi. La storia di ognuno di noi è nella storia di Gesù, e la storia di Gesù è la storia di ognuno di noi. Perché Dio ha bisogno della nostra debolezza per manifestarsi? Il fatto è che, finché siamo forti ed efficienti, finché le nostre programmazioni e prestazioni hanno successo, noi continueremo a credere di essere quelli che sono il motore della storia. Quando invece, dopo una certa età o certe esperienze, comprendiamo di essere ben piccola cosa dinanzi agli avvenimenti, ecco che allora possiamo dire a Dio: «Signore, mi arrendo alla mia debolezza, ecco, ti offro il timone della mia vita, prendila tu, e conducila dove desideri: fa’ di me quello che vuoi…». In questo momento, e solo in questo momento, Dio può agire conformemente alla sua divinità. Accogliamo allora non come una maledizione ma come una benedizione l’esperienza della nostra debolezza, perché, come dice Paolo, «quando sono debole, allora sono forte».
Ti basta la mia grazia
In questa luce comprendiamo meglio il mistero della grazia. Il termine evoca da un lato qualcosa di bello e compiutamente realizzato, e dall’altro qualcosa di non dovuto e liberante. La grazia è allora è l’aiuto speciale che ci dona il Signore in alcune situazioni della vita. Anzi, questo dono di aiuto speciale ha un nome: lo Spirito Santo. Alla luce delle parola di Paolo comprendiamo allora che la grazia ha per obiettivo finale di renderci conformi a Gesù. Paolo si vanta di debolezze, oltraggi, difficoltà, persecuzioni, angosce… perché tutto questo lo porta a condividere la storia di Gesù. L’amante dice all’amato: io voglio essere come te! E dunque la Provvidenza con cui il Padre si occupa di noi passa certamente attraverso la richiesta del pane quotidiana ma infine conduce ad una ricapitolazione di tutta la nostra persona e la nostra vicenda nella configurazione a Gesù.
Che il Signore non passi invano
Dalla meraviglia dei nazaretani di fronte alle opere di Gesù si passa alla meraviglia di Gesù per il loro rifiuto: «e si meravigliava della loro incredulità»… Gesù avrà potuto dire: «non capisco… che cosa avrei dovuto fare ancora oltre a quello che ho fatto?»… Gesù per i nazaretani passa invano! Ma questo è un pericolo anche per noi. Mi è capitato di assistere alla scena straziante di un uomo ch’era accanto al proprio padre, sfigurato dal morbo di Alzheimer. Il padre gridava di continuo: «dov’è mio figlio?». E il figlio rispondeva: «sono qui, papà, sono qui!», ma invano. Forse anche noi talvolta chiediamo: «Signore, dove sei?». E il Signore ci dice: «,a sono qui, figlio mio, sono qui vicino a te, sopra di te, sotto di te, accanto a te, dentro di te… quante altre prove devo darti della mia presenza e della mia vicinanza?». Il Signore è dappertutto, è qui in questo momento. Ci dà prova di sé nell’immenso segno della creazione. È vivo e operante nella Parola e nell’Eucaristia. Qui cerchiamolo, qui lo troveremo con certezza.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo