Commento al Vangelo

Commento al Vangelo. XXX Domenica del Tempo ordinario – Anno B

La riflessione di Don Tiziano Galati

L’evangelista Marco che ascoltiamo quest’anno ci presenta le azioni e le parole di Gesù durante il suo viaggio a Gerusalemme. Al termine del cammino, oggi incontriamo un cieco. Un cieco, che, in più, è un mendicante. In lui c’è oscurità, tenebre, e assenza. E attorno a lui c’è soltanto il rigetto. Quest’uomo, saputo che sta per passare Gesù di Nazareth, si mette a gridare e il suo grido di aiuto rappresenta un estremo tentativo di liberarsi dalla situazione disperata in cui si trova. Egli applica a Gesù il titolo di «Figlio di Davide»: il mendicante fa dunque una professione di fede messianica.

L’appellativo Figlio di Davide di per sé ha una valenza politica, messianica. Dal Messia, discendente di Davide si attendeva la liberazione di Israele dall’occupazione straniera e non la guarigione dalle malattie. Rimane però una tradizione in ambito giudaico in cui Davide veniva ricordato come re misericordioso, dotato di sapienza, autorità di insegnamento e potere sui demoni. Quindi l’invocazione del cieco non è fuori luogo. Gesù fa chiamare il cieco che prontamente di alza. L’alzarsi del cieco gettando via il mantello è un gesto molto dinamico, che apre alla novità del miracolo di cui l’uomo sarà protagonista. Il mantello nella Bibbia non è un semplice indumento. Era un segno di dignità. Lo si usava come coperta di notte, lo si poteva dare in pegno in caso di debito. Esso rappresenta la totalità della persona, la sua essenza. Gettando via il mantello il cieco forse voleva rinunciare al passato, a quello che egli era stato fino ad allora, cominciare una vita nuova. Buttarlo via significa quindi abbandonare le proprie sicurezze e riporre solo in Gesù la propria fiducia. Per questo Gesù gli concede ciò che vuole, perché ha saputo riconoscere nel rabbì di Nazareth il suo maestro, così il mendicante non ha acquistato solamente la vista, ma mediante la sua fede ha ottenuto anche di arrivare a Gesù che lo può salvare. Nella fede ha realizzato un’unione personale con Gesù. Ecco perché, dopo il miracolo lo segue sulla strada di Gerusalemme. Egli è diventato a pieno titolo discepolo, che segue il suo Maestro (Rabbunì) sulla via della croce.

Benedetto XVI commentando questo testo diceva: «Bartimeo, dunque, in quel punto strategico del racconto di Marco, è presentato come modello. Egli non è cieco dalla nascita, ma ha perso la vista: è l’uomo che ha perso la luce e ne è consapevole, ma non ha perso la speranza, sa cogliere la possibilità di incontro con Gesù e si affida a Lui per essere guarito… Bartimeo rappresenta l’uomo che riconosce il proprio male e grida al Signore, fiducioso di essere sanato. La sua invocazione, semplice e sincera, è esemplare… Nell’incontro con Cristo, vissuto con fede, Bartimeo riacquista la luce che aveva perduto, e con essa la pienezza della propria dignità: si rialza in piedi e riprende il cammino, che da quel momento ha una guida, Gesù, e una strada, la stessa che Gesù percorre. L’evangelista non ci dirà più nulla di Bartimeo, ma in lui ci presenta chi è il discepolo: colui che, con la luce della fede, segue Gesù ‘lungo la strada’ (v. 52)» (Omelia a conclusione del Sinodo dei Vescovi, 28 ottobre 2012).

Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico