Carissima Famiglia,
come negli anni passati, busso alla tua porta, anche in questo 2019, per affidarti, sorridente, confidente e amico, il mio biglietto augurale:
Auguri affettuosi di un sereno e santo Natale nella pace del cuore!
E anche quest'anno, voglio accompagnare le parole dell’augurio e dell’affetto con un’immagine espressiva ed eloquente: con un’icona natalizia recuperata dalla tradizione di bellezza della nostra arte sacra locale. Si tratta di un dipinto ad olio su tela della prima metà del Settecento di un ignoto pittore salentino e conservato nel Convento dei Farti Minori di Galatina. Un’immagine della Notte Santa molto semplice ed essenziale: una mangiatoia di pietra, con poca paglia e un lenzuolino bianco, appena visibili il bue e l’asino, in primo piano un pastore inginocchiato, lacero e scalzo, a rappresentare tutti noi, in atto di adorazione. E poi la Santa Famiglia a illuminare la scena.
Una geometria simbolica di sguardi: Maria e il pastore guardano il piccolo neonato. Gesù guarda, da un lato, in alto: il cielo. Giuseppe guarda, dall’altro lato, in basso: la terra. Nessuno guarda noi: così che, in punta di piedi, ci avviciniamo anche noi, per inginocchiarci nell’adorazione e per sentirci avvolti dal pleroma della gloria (al cielo) e della pace (in terra) e per contemplare il mistero dell’Incarnazione, con il consenso della fede, e dire il nostro sì. Grazie, Padre, per averci donato tuo Figlio. In Lui, nel Figlio, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra.
Ci colpisce lo sfondo povero e desolato. Non c’è un tetto – di canne o di frasche – ma la Santa Famiglia è esposta a tutte le intemperie metereologiche e naturali. Alle loro spalle un rudere di muro, dietro al quale si intravede un albero, spoglio, un torso di tronco inclinato, quasi divelto e cadente.
Ci vengono in mente i catastrofici eventi metereologici e naturali di questi ultimi mesi che hanno flagellato le nostre coste, venti rabbiosi che hanno abbattuto alberi (forse anche qualche ulivo già morto e secco, tra i tanti che purtroppo vediamo, spettrali, nelle nostre campagne) e fatto altri danni. Se allarghiamo lo sguardo a tutto il Paese, ecco le immagini dell’acqua alta o di diverse inondazioni e allagamenti locali: altre distruzioni.
E poi lo sappiamo: la forza degli eventi naturali appare resa più distruttiva dai cambiamenti climatici che hanno tropicalizzato il nostro clima (siccità che si alterna a trombe d’aria e tifoni, scioglimento di ghiacciai e innalzamento del livello del mare, perfino – nel nostro Mediterraneo – presenza di pesci da mari caldi).
Sappiamo bene che si tratta di cambiamenti indotti, o almeno favoriti, da comportamenti umani. Questo vuol dire che potremmo evitarli correggendo i nostri comportamenti, ma è proprio questo che non sappiamo o non vogliamo fare! E ci arrendiamo e siamo, insieme, vittime e colpevoli. Quanto tempo per attivarci, se pure lo facciamo! Si tratti della xylella o del polo siderurgico di Taranto: che difficoltà ad impostare un progetto di conversione per il bene comune!
Il Papa ci ha offerto una riflessione cristiana complessiva: una visione di ecologia integrale. Riusciamo a guardare al Natale con gli occhi della fede cristiana e perciò di un’ecologia integrale?
Sarebbe un Natale senza sprechi. Non un Natale consumistico, artificiale, di plastica, ma un Natale sincero, spirituale, del cuore.
E soprattutto sarebbe la festa della nostra possibile liberazione. Sì, il Liberatore è nato, è venuto – come avevano promesso i profeti –, è tra noi e ci indica, con il suo Vangelo, la via della salvezza.
La povertà dipende da noi tutti, dai nostri sistemi economici ingiusti e dal commercio iniquo ed egoista: possiamo liberarcene. L’inquinamento, il consumo selvaggio delle risorse ambientali, lo spreco dipendono da noi. Possiamo liberarcene.
Sì, è sempre più urgente una conversione sociale all’ecologia integrale. Ma per questo ci vuole un cambiamento radicale del modo di vivere di ciascuno: della testa e del cuore di ciascuno. Oltre egoismi, interessi, privatismi. Essendo veramente radicale, tale cambiamento non ci sarà mai senza una sincera conversione al Vangelo: una conversione che porti la pace sulla terra, tra noi e la natura. La pace che ci è donata dalla gloria di Dio nel più alto dei cieli.
Ecco la possibilità che ci offre il Natale.
Ecco la liberazione del Signore che viene.
Ecco la gioia che lui ci dona.
Gioia che può essere di tutto il creato. Il creato, infatti, attende la rivelazione dei figli di Dio: attende cioè la liberazione dal Vangelo di Gesù, che noi possiamo annunciare vivendolo in pienezza.
Questo ci dice, quest’anno, il Natale. Come ogni anno: Vieni, c’è Gesù; con Lui cambia la tua vita; cambia il tuo cuore; scegli il bene, scegli il Vangelo.
Sappiamo qual è il bene, ma facciamo il male. Vorremmo che trionfasse il bene, ma facciamo strada al male che non vogliamo. Siamo prigionieri di strutture di peccato che ci sembrano fortissime e sempre vincenti. Poi viene un uragano e l’albero secco e pericolante ci cade sulla testa. Sarà sempre così senza un nostro risveglio: non per fidare solo sulle nostre forze, ma per affidarci e fidarci del Signore Gesù.
Coraggio! Apriamo il cuore alla speranza! Il Natale ci dice questo, perché è annuncio di pace, di vita e di amore.
E con questi medesimi sentimenti di pace, di vita e di amore, vi abbraccio uno per uno e vi benedico.
Otranto, 25 dicembre 2019
✢ DONATO NEGRO Arcivescovo