Il Sacerdote, uomo fatto di preghiera

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Carissimi fratelli, carissime sorelle, la S. Messa Crismale è una celebrazione che coinvolge tutto il Popolo di Dio, tutti quanti noi battezzati, ma certamente è caratterizzata da un fulcro che riguarda più da vicino quanti hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine nei due gradi sacerdotali: i vescovi e i presbiteri.

Poiché ci troviamo nell’anno che, in preparazione al Giubileo del 2025, il Santo Padre ha voluto dedicato alla preghiera, desidero considerare appunto l’importanza della preghiera nella vita di noi sacerdoti, vescovi e presbiteri.

La preghiera, infatti, è l’essenza stessa del sacerdozio, che, in tutte le religioni, ha lo scopo di far incontrare Dio con l’uomo e l’uomo con Dio.

Molto di più, la preghiera è l’opera che Gesù, sommo ed eterno sacerdote, compie nell’eternità presso il Padre. Egli, che ha pregato in ogni momento della sua vita, ed è morto pregando, ora che è glorificato, «poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7,24-25).

Alla Liturgia del Cielo si lega la Liturgia della Chesa pellegrina sulla terra, e per questo quando si sta presso l’altare ci rivolgiamo al Padre «per Cristo Signore», cioè affidando l’orazione alla mediazione di Gesù.

Della nostra speciale partecipazione alla preghiera liturgica, rendiamo grazie a Dio perché ci ha resi degni di stare alla Sua presenza a compiere il servizio sacerdotale (cf II Preghiera eucaristica).

Ma vorrei soffermarmi soprattutto sulla preghiera personale del sacerdote, che deve precedere e seguire la preghiera liturgica e accompagnare ogni momento della nostra vita. Sarebbe bello se si potesse dire di ognuno di noi quello che il biografo Tommaso da Celano ha detto di san Francesco, cioè che non era tanto un uomo che pregava quanto un uomo trasformato in preghiera vivente, un uomo fatto preghiera (cf Vita seconda LXI, 95: FF 682). Ecco questo dovrebbe essere il sacerdote: un uomo fatto preghiera.

Il Papa Francesco si è soffermato sulla preghiera del sacerdote, in un discorso tenuto a Roma il 17 febbraio 2022, e l’ha indicata come la prima delle quattro vicinanze del sacerdote: vicinanza a con Dio, vicinanza al vescovo, vicinanza agli altri fratelli sacerdoti, vicinanza alla gente. Al suo insegnamento volentieri presto ascolto, insieme con voi.

 

La preghiera e l’amicizia

Anzitutto la nostra preghiera personale è il modo di alimentare quotidianamente l’amicizia con il Signore Gesù. Il primo motivo per cui egli chiama gli apostoli, è perché stiano con lui e poi per mandarli a predicare (cf Mc 3, 13). Il ministero non può essere una specie di lavoro, pur svolto in modo tecnicamente perfetto, ma la gioia di far conoscere al mondo Gesù che ci ha guardati con amore e ci ha chiamato a lasciare tutto per dedicarci interamente a lui. Il sacerdote annuncia il Vangelo, amministra i sacramenti, pratica la carità non come un impiegato ma come un innamorato, per ridondanza d’amore. Gli è allora necessario ogni giorno, e più volte al giorno, rimotivarsi nell’incontro con Gesù, tenendo fisso lo sguardo su colui che è all’origine della nostra fede e della nostra vocazione, e vi dà compimento (cf Eb 12, 2).

«Un sacerdote – insegna il Papa – è invitato innanzitutto a coltivare questa vicinanza, l’intimità con Dio, e da questa relazione potrà attingere tutte le forze necessarie per il suo ministero. Il rapporto con Dio è, per così dire, l’innesto che ci mantiene all’interno di un legame di fecondità. Senza una relazione significativa con il Signore il nostro ministero è destinato a diventare sterile. La vicinanza con Gesù, il contatto con la sua Parola, ci permette di confrontare la nostra vita con la sua e imparare a non scandalizzarci di niente di quanto ci accade, a difenderci dagli “scandali”.

«Senza l’intimità della preghiera, della vita spirituale, della vicinanza concreta a Dio attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, l’affidamento a Maria, l’accompagnamento saggio di una guida, il sacramento della Riconciliazione, senza queste “vicinanze” concrete, un sacerdote è, per così dire, solo un operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore.

«Troppo spesso, ad esempio, nella vita sacerdotale si pratica la preghiera solo come un dovere, dimenticando che l’amicizia e l’amore non possono essere imposti come una regola esterna, ma sono una scelta fondamentale del nostro cuore. Un prete che prega rimane, alla radice, un cristiano che ha compreso fino in fondo il dono ricevuto nel Battesimo. Un prete che prega è un figlio che fa continuamente memoria di essere figlio e di avere un Padre che lo ama. Un prete che prega è un figlio che si fa vicino al Signore.

«Ma tutto questo è difficile se non si è abituati ad avere spazi di silenzio nella giornata. Se non si sa deporre il “fare” di Marta per imparare lo “stare” di Maria».

 

La preghiera e l’ascolto

La preghiera ci è poi indispensabile per operare il discernimento della volontà di Dio sulla porzione di gregge che ci è affidato. Il nostro compito, infatti non è decidere, cioè fare la nostra volontà, ma discernere, cioè fare la volontà di Dio. Su questa roccia si edifica l’azione pastorale, altrimenti faticheremmo invano. Eviteremo così tanto il clericalismo, cioè la tentazione di pensarci staccati e al di sopra della gente, quanto il pelagianesimo, cioè la tentazione di credere che la salvezza dipenda dal nostro sforzo, mentre essa è soltanto e totalmente Grazia di Dio.

Prima di ogni riunione e di ogni attività di programmazione, dovremmo presentare le questioni a Dio, secondo il consiglio che il suocero Jethro offre a Mosè, invitandolo a condividere la sua responsabilità con dei collaboratori e a riservare per sé il primo compito, quello di pregare: «Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio» (Es 18, 19).

Ne troviamo un’eco in alcune preghiere del Messale. In una domandiamo: «Ispira nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto» (Colletta della I settimana TO). In un’altra chiediamo: «La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo Santo Spirito» (Postcommunio della XXIV settimana TO). E ancora: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento» (Colletta del Giovedì dopo le Ceneri).

 

La preghiera e la lotta

La volontà di Dio passa sempre attraverso una nostra più profonda partecipazione al mistero pasquale, sulla strada che ha percorso Gesù, quella dell’amore crocifisso. E questo non è facile per noi, come non lo è stato per Gesù stesso. Ma proprio nella preghiera egli ha trovato la forza – che era lo Spirito Santo – di rimanere orientato al Padre. Nel Getsemani, osserva l’evangelista Luca, «Gesù, in preda all’angoscia, pregava più intensamente» (Lc 22, 44). E l’autore dalla Lettera agli Ebrei ricorda che Gesù «proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek» (Eb 5,7-10).

Il Papa ci avverte: «Come è stato per il Maestro, passerete attraverso momenti di gioia e di feste nuziali, di miracoli e di guarigioni, di moltiplicazione di pani e di riposo. Ci saranno momenti in cui si potrà essere lodati, ma verranno anche ore di ingratitudine, di rifiuto, di dubbio e di solitudine, fino a dover dire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Questa vicinanza a Dio a volte assume la forma di una lotta: lottare col Signore soprattutto nei momenti in cui la sua assenza si fa maggiormente sentire nella vita del sacerdote o nella vita delle persone a lui affidate. Lottare tutta la notte e chiedere la sua benedizione (Gn 32,25-27), che sarà fonte di vita per molti.

«Si fa fatica a rinunciare all’attivismo – tante volte l’attivismo può essere una fuga –, perché quando si smette di affaccendarsi non viene subito nel cuore la pace, ma la desolazione; e pur di non entrare in desolazione, si è disposti a non fermarsi mai. È una distrazione il lavoro, per non entrare in desolazione. Ma la desolazione è un po’ il punto di incontro con Dio. È proprio accettando la desolazione che viene dal silenzio, dal digiuno di attività e di parole, dal coraggio di esaminarci con sincerità, proprio lì, che tutto assume una luce e una pace che non poggiano più sulle nostre forze e sulle nostre capacità. Si tratta di imparare a lasciare che il Signore continui a realizzare la sua opera in ciascuno e poti tutto ciò che è infecondo, sterile e che distorce la chiamata. Perseverare nella preghiera significa non solo rimanere fedeli a una pratica: significa non scappare quando proprio la preghiera ci conduce nel deserto. La via del deserto è la via che conduce all’intimità con Dio, a patto però di non fuggire, di non trovare modi per evadere da questo incontro. Nel deserto “parlerò al suo cuore”, dice il Signore al suo popolo per bocca del profeta Osea (cf 2,16)».

 

La preghiera e il dono

Se nella vita terrena Gesù ha pregato per Pietro, perché non venisse meno nella fede (cf Lc 22, 31), e nell’ultima sera ha pregato per tutti noi affinché siamo una cosa sola (cf Gv 17); e se ora nell’eternità il Cristo prega per noi il Padre, facendosi garante della perenne effusione dello Spirito, allora il dono più grande che noi sacerdoti possiamo fare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, è di presentarli a Dio, di pregare per loro, appunto.

Abramo tenta di salvare Sodoma e Gomorra dalla distruzione, intercedendo presso Dio (cf Gn 18, 20-33). Mosè garantisce la prevalenza degli Ebrei sugli Amaleciti, finché tiene levate le braccia verso Dio (cf Es 17, 11-12). Gli Apostoli decidono di affidare il servizio delle mense ai diaconi, riservandosi il primato della predicazione e della preghiera (cf At 6, 2-4).

Il Papa così continua la sua catechesi: «Un sacerdote deve avere un cuore abbastanza “allargato” da fare spazio al dolore del popolo che gli è affidato e, nello stesso tempo, come sentinella annunciare l’aurora della Grazia di Dio che si manifesta proprio in quel dolore. Abbracciare, accettare e presentare la propria miseria nella vicinanza al Signore sarà la migliore scuola per poter, piano piano, fare spazio a tutta la miseria e al dolore che incontrerà quotidianamente nel suo ministero, fino al punto di diventare egli stesso come il cuore di Cristo. E ciò preparerà il sacerdote anche per un’altra vicinanza: quella al Popolo di Dio. Nella vicinanza a Dio il sacerdote rafforza la vicinanza al suo popolo; e viceversa, nella vicinanza al suo popolo vive anche la vicinanza al suo Signore».

Mi permetto di fare riferimento ancora ad una figura francescana, il sacerdote stigmatizzato san Pio da Pietrelcina, che diceva di essere solo «un frate che prega», e per la forza di questa preghiera ha raccolto intorno a sé una clientela mondiale. come ha detto di lui san Paolo VI.

 

La benedizione e il ringraziamento

Cari fratelli sacerdoti, stiamo per rinnovare le nostre promesse a Dio a vantaggio del Popolo che ci è affidato. Tanto nell’ordinazione diaconale quanto in quella presbiterale, ci siamo impegnati a dedicarci assiduamente alla preghiera.

Preghiamo dunque per ringraziare il Padre di tutti i suoi doni, come in ogni Eucaristia e specialmente in questa che celebriamo.

Ringraziamo il Signore Gesù per l’affetto di predilezione col quale ci ha scelti tra i fratelli, chiamandoci a lasciare tutto, per stare con lui e collaborare all’annuncio del Regno di Dio, a riamarlo nei fratelli e nelle sorelle che ci affida. Ringraziamolo quando ci chiama a bere al suo Calice della sua passione, perché così ci permette di crescere nella sua amicizia partecipando alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti (cf Fil 3, 10-11). Ringraziamolo perché ci chiama ad imitarlo nel fare della nostra vita, della nostra forza, della nostra debolezza, della nostra morte, un dono d’amore.

Ringraziamo lo Spirito Santo che ci ha consacrato con la sua unzione, e ci abilita ad edificare la Chiesa, suo Tempio, facendoci dispensatori dei tesori della Parola e dei sacramenti.

A mia volta, carissimi sacerdoti, io desidero ringraziare il Signore per avermi inviato ad essere vostro padre, fratello e amico. Ho incontrato in voi, tanto tra i più anziani quanto tra i più giovani, esempi autentici di santità quotidiana, fatta di dedizione generosa alla gente. Vi sono riconoscente per la collaborazione e la testimonianza che sempre mi offrite, da quando sono con voi. Ringraziate anche voi, cari fratelli e care sorelle, il Signore per averci donato i sacerdoti del presbiterio idruntino.

Vi invito, cari fratelli e sorelle, a presentare al Signore i sacerdoti che non sono presenti a questa celebrazione a causa dell’età o della malattia.

Preghiamo per i presbiteri che stanno per celebrare uno speciale anniversario:

10 anni: don Gino Bortone, don Emanuele Lolli, don Emanuele Leucci;

25 anni: don Sandro Caretti, don Pasquale Fracasso, don Fabiano Leone, don Luca Matteo, don Donato Palma;

50 anni: don Salvatore Toma;

60 anni: don Adelino Martella.

Presentiamo al Signore anche quanti dal presbiterio idruntino sono stati chiamati al ministero episcopale: mons. Vincenzo Pisanello, vescovo di Oria; mons. Giuseppe Mengoli, vescovo di San Severo; mons. Franco Coppola, nunzio apostolico in Belgio; mons. Bruno Musarò, già nunzio apostolico in Costa Rica, prima di rientrare in questa nostra arcidiocesi.

E infine, cari fratelli e care sorelle, vorrei con voi presentare al Signore il mio predecessore, mons. Donato Negro, arcivescovo per ventitrè anni. Carissimo don Donato, veramente sei per me amico, fratello e padre, in quanto ci conosciamo da tanti anni, e ancor più perché grazie all’imposizione delle tue mani sono stato inserito nel collegio dei vescovi, il 17 giugno 2023 in questa Cattedrale. A nome di tutti desidero farti gli auguri per i tuoi trent’anni di episcopato, raggiunti lo scorso 10 febbraio, e che oggi vogliamo festeggiare in modo speciale. Nell’omelia dell’ordinazione, mi hai affidato al Cuore di Maria, e mi hai raccomandato di coglierne i tre palpiti della generatività, della contemplazione e della gioia. Faccio tesoro del tuo insegnamento, e a mia volta chiedo a Maria Santissima di custodirti nel suo Cuore immacolato, associandoti al suo dono di Grazia e al suo Magnificat.

 

E concludo volgendo ancora lo sguardo a Gesù, attingendo alla liturgia e alla santità.

Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo,

che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo,

morendo hai dato la vita al mondo,

con la tua anima santificami,

Con il tuo Corpo salvami

Con il tuo Sangue inebriami.

Con l’Acqua del tuo costato lavami.

Con la tua Passione confortami.

Dentro le tue ferite nascondimi.

Non permettere che io mi separi da te.

Dal nemico maligno difendimi.

Nell’ora della mia morte chiamami.

Comandami di venire a te,

perché con i tuoi Santi io ti lodi.

nei secoli dei secoli. Amen.

 

Otranto, Cattedrale, 28 marzo 2024

+Francesco Neri OFMCap

Arcivescovo