Nel giorno della Epifania del Signore, il 6 gennaio, nell’annuncio del giorno della Pasqua, abbiamo ascoltato queste parole: “Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”: è la sorgente della nostra fede e sempre a questi giorni bisogna tornare per comprendere l’opera di Dio. “Ogni giorno del Triduo richiama l’altro e si apre sull’altro come l’idea della risurrezione suppone quella della morte. Nucleo gravitazionale dei tre giorni è la veglia pasquale con la celebrazione eucaristica. Infatti, è a partire dall’Eucaristia della veglia che si capisce il Triduo. Dall’unità del mistero pasquale dipende il senso mistico della celebrazione del triduo pasquale” (Barba Maurizio, La celebrazione del mistero della salvezza. Unità solida del Triduo: unica grande liturgia, www.portalecce.it, 15 aprile 2025).
Il Vangelo di Giovanni che ci accompagna nella Celebrazione “In Coena Domini”, che è quasi una porta di questi giorni santi, e nell’Azione Liturgica “In Passione Domini”, ci aiuta a comprendere il mistero pasquale come compimento di tutto ciò che è proprio di Gesù.
“Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine (eis telos)” (Gv 13,1), lo stesso termine nella forma verbale ritorna nella morte di Gesù, come ultima parola da Lui pronunciata: “Tutto è compiuto (Tetelestai)” (Gv 19,30), perché l’amore è arrivato al suo zenit, al suo massimo.
Nel racconto della Cena l’indicazione “fino alla fine” ha un valore temporale e qualitativo: Gesù ama i suoi amici fino al dono totale della vita che si realizza nella sua morte di croce. L’Eucarestia di cui ricordiamo l’istituzione nel Giovedì Santo, insieme al gesto della Lavanda dei piedi, che la comunità rivive in maniera simbolica, sono il segno che prefigura il dono totale di Gesù per “i suoi”: il pane spezzato e il vino donato trovano il loro inveramento nel Corpo appeso sulla croce e nel Sangue versato.
Nel punto più alto del racconto della Passione, Gesù proclama che tutto è arrivato al massimo grado, alla massima manifestazione. Quel “tutto è compiuto” era ciò che il servo diceva al suo padrone dopo aver eseguito l’ordine che gli era stato dato. Nel testo greco troviamo un verbo al tempo perfetto che indica un’azione compiuta nel passato, una volta per sempre, e i cui effetti hanno valenza anche nel presente. “Non significa banalmente: “È finita”, ma che la missione che il Padre aveva affidato al Figlio è adesso pienamente compiuta. Lì dove il mondo vede la suprema sconfitta, l’evangelista vede il compimento dell’opera per la quale Gesù era venuto nel mondo” (Infante, R., Giovanni. Introduzione, traduzione e commento, Cinisello Balsamo (MI) 2015, 436-437).
Contempliamo il compimento del mistero d’amore di Cristo morto sulla Croce anche nel giorno del Sabato Santo, il giorno del grande silenzio. “Il Sabato Santo è la ‘terra di nessuno’ tra la morte e la risurrezione, ma in questa ‘terra di nessuno’ è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: ‘Passio Christi. Passio hominis’. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale” (Benedetto XVI, Meditazione davanti alla Sindone, 2 maggio 2010).
Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico