Commento al Vangelo

Commento al Vangelo. Domenica di Pasqua “Risurrezione del Signore”

La riflessione di Don Tiziano Galati

Nell’epoca dei selfie emerge molto forte lo “scandalo” di non avere una “foto” della risurrezione, neanche da un punto di vista letterario, non sappiamo che cosa è realmente accaduto dentro il sepolcro, ma tutti gli evangelisti ci parlano dei segni di ciò che è accaduto e delle conseguenze.

I segni che noi abbiamo sono una pietra ribaltata, l’assenza del corpo del Crocifisso che Maria Maddalena cerca per onorarlo, i teli con cui era stato avvolto il corpo e il sudario, cioè il fazzoletto che avvolgeva il volto a parte. Sono segni di un’assenza che interpella, che scuote, che provoca. Questi segni e questa assenza provocano due reazioni: la corsa e il vedere.

La corsa di Maria, la corsa dei due discepoli. Corre Maria ad annunciare, corrono Pietro e Giovanni per verificare, ma l’amore arriva prima, è impulsivo, come lo è l’età giovanile, l’amore è sentimento che spinge, è creativo e sembra quasi non tener conto delle conseguenze perché è una forza dinamica dirompente. Ma l’amore ha bisogno della prudenza della ragione e dell’esperienza per non sbagliare, per non prendere cantonate. Giovanni è l’amore, arriva prima, ma, prima di entrare attende Pietro, la saggezza. Forse dopo questa esperienza Pietro e Giovanni hanno corso di nuovo a Gerusalemme per dire agli altri: “Sì ne siamo certi: è risorto!”. E possono dire questo perché hanno visto. Il testo che abbiamo ascoltato per quattro volte usa il verbo “vedere”, ma in italiano si perde la ricchezza semantica del greco.

Maria di Magdala, come Giovanni appena arriva alla tomba vede, è usato il verbo blepo, che indica una dimensione più superficiale. Quando giunge Pietro ed entra al sepolcro egli osserva, verbo theoreo, da cui teoria, che indica un’osservazione più attenta, ma sembra non comprendere: vede che c’è un’assenza, vede i segni della sindone e del sudario, ma ancora non capisce. Per ultimo anche l’altro discepolo entra e vede, verbo horao, che indica la contemplazione, e al suo vedere è legato anche il credere. Gli occhi di Giovanni non sono solo quelli del corpo, sono gli occhi dell’amore, gli occhi della fede che fa chiarezza circa le parole della Scrittura, e Giovanni subito si rende conto di come le parole dette da Gesù siano parole vere e che proprio in quel momento si stanno realizzando: vede e crede che quell’assenza fisica è segno di una presenza diversa del Signore. Vide e credette che la Sindone posta lì e il sudario sono il superamento del limite che l’uomo aveva voluto mettere a Dio attraverso la sepoltura. E vide e credette che Gesù doveva passare attraverso l’infamia della croce per poter essere glorificato, termine che nella teologia giovannea ha a che fare proprio con la risurrezione di Gesù. È necessario, anche a noi, oggi, tornare a quel sepolcro vuoto e a quei segni che sono lasciati lì per provocare la nostra fede a credere nell’adempimento stesso della Parola di Gesù. È necessario anche che noi corriamo verso il sepolcro perché la fede non può essere statica, ferma, immobile nelle cose che abbiamo sempre saputo, ma ha bisogno del dinamismo che ci porta ad approfondire il nostro legame con Lui.

Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico