Prosegue il grande discorso eucaristico del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni. Gesù compie un passo in avanti nella spiegazione del segno del pane donato a tutti. Il pane che Gesù darà non solo si identifica con la sua persona, ma è la sua stessa carne che deve essere mangiata perché possa comunicare la vita.
Nel linguaggio biblico la carne non è altro che la persona umana, vista però in tutta la sua limitatezza e fragilità. In Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, il Verbo si è fatto carne e ora dà la sua carne in cibo all’umanità, e mangiare la sua carne apre alla prospettiva della vita eterna. Da notare il realismo del messaggio di Gesù che viene dato dai verbi che indicano l’assumere cibo e bevanda, il cibarsi: ephagon (mangiare, cibarsi), trōgō(masticare, mangiare), pinō (bere, dissetarsi), ma anche e soprattutto dallo stesso verbo “essere” che dice la realtà delle cose, contro ogni forma di docetismo, cioè contro ogni forma di apparenza. Di fronte allo stupore e all’incredulità dei suoi ascoltatori Gesù afferma la necessità assoluta di mangiare il suo corpo e bere il suo sangue per avere la vita: l’assimilazione a Cristo per mezzo della fede e del nutrirsi di Lui, esige la nostra partecipazione al mistero della sua morte che genera la pienezza della vita.
Tra Gesù e colui che mangia il suo corpo e beve il suo sangue, si instaura dunque un’intima comunione di vita, che si modella su quella che unisce Gesù al Padre, anzi ne è la conseguenza e lo sviluppo logico: come il Figlio, che è stato mandato dal Padre, attinge da lui tutta la sua vita, così chi mangia il Figlio attinge da lui quella stessa vita che egli ha ricevuto dal Padre. Dice sant’Agostino commentando questo testo: “O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato” (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 26).
Don Tiziano Galati
Responsabile dell’Apostolato Biblico
Ufficio Catechistico