A distanza di tanti anni dal loro sacrificio, la lezione dei nostri Santi Martiri Idruntini conserva integra la propria attualità.
Martiri perché cristiani
Il primo insegnamento che Antonio Primaldo e i suoi compagni ci impartiscono, è la preziosità della fede in Cristo, unico nome nel quale c’è salvezza, che ha al suo centro la Croce come via per la Risurrezione.
Persone autorevoli affermano che il pericolo del cristianesimo contemporaneo è di diventare un cristianesimo senza Cristo, quando cioè nel rapporto con i nostri contemporanei condividiamo l’impegno della solidarietà o il valore della salvaguardia del creato, ma senza mai arrivare all’annuncio di Gesù, sulla cui persona l’impegno e i valori si fondano. O c’è il pericolo di presentare un Gesù senza Croce, sublime modello di umanità, maestro di spiritualità e di un’etica fraterna, ma vergognandosi della sua via, che è stata quella dell’amore nella forma del sacrificio, del dono totale di sé fino alla morte e a una morte di croce.
Ora, chi vuol seguire il Signore Gesù, deve farlo rinunciando a se stesso e prendendo ogni giorno la propria croce, cioè facendo propria la scelta di Gesù di rimanere nell’amore sino alla fine, pagando qualunque prezzo, anche quello della vita: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Matteo 16, 24s). Tale è stata la scelta dei Martiri Idruntini. Di fronte all’alternativa tra salvare la vita, rinnegando il Vangelo, o rimanere cristiano e morire, la scelta di Antonio Primaldo – secondo le antiche cronache – è stata: «Credere tutti in Gesù Cristo, figlio di Dio, ed essere pronti a morire mille volte per lui». E così incoraggia i compagni: «Fratelli miei, sino ad oggi abbiamo combattuto per defensione della Patria e per salvar la vita e per li Signori nostri temporali. Ora è tempo che combattiamo per salvar le anime nostre per il nostro Signore, quale essendo morto per noi in Croce, conviene che noi moriamo per esso, stando saldi e costanti nella Fede e con questa morte temporale guadagneremo la vita eterna e la corona del martirio».
Nel secolo trascorso e in quello in cui ci troviamo, i martiri sono più numerosi che in qualunque altro periodo della storia cristiana. Durante il Giubileo del 2000, nel Colosseo, Giovanni Paolo II guidò una commemorazione dei Testimoni della fede del secolo XX, e in vista del Giubileo del 2025 papa Francesco ha istituito una Commissione per redigere il catalogo dei nuovi Martiri, di qualunque Chiesa e Confessione cristiana, uccisi solo perché di Cristo. Gli imperi, le dittature, le ideologie si scagliano sui discepoli di Gesù fin dalla nascita della Chiesa. Voglio ricordare, dall’altra parte del mare, a poca distanza da noi, i Trentotto Martiri dell’Albania, canonizzati nel 2016, due vescovi, numerosi sacerdoti e religiosi, un seminarista e alcuni laici, i quali preferirono subire il carcere, le torture e infine la morte, pur di rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa. Il pensiero va altresì al mio predecessore l’arcivescovo Gaetano Pollio, che da arcivescovo di Kaifeng, in Cina, fu arrestato e costretto ai lavori forzati. E quanto ad oggi, raccogliamo l’invito a pregare per la Chiesa perseguitata in Nicaragua.
Martiri perché cittadini
I nostri Ottocento Martiri sono stati innamorati della propria città, e sono morti anche perché l’hanno voluta difendere. Come ha insegnato Giovanni Paolo II in visita alla nostra Chiesa nel 1980, essi «erano uomini, uomini autentici, forti, decisi, coerenti, ben radicati nella loro storia; erano uomini, che amavano intensamente la loro città; erano fortemente legati alle loro famiglie». Il loro è stato per così dire un martirio politico, nel senso inteso da Paolo VI, allorché ha insegnato che la forma più alta di carità è la politica, cioè la cura per la propria polis, la propria città.
Oggi la città dei Martiri sarebbe Otranto, ma anche l’Italia. Dal 1861 il nostro è un Paese giuridicamente unito, diversamente dal 1480, e infatti da un punto di vista storico il massacro fu possibile anche perché le potenze italiane erano divise e contrapposte – sebbene da questo male la Provvidenza abbia tratto il bene della santità dei Martiri. Durante la recente Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, il 7 luglio 2024, a Trieste (città – è bene ricordarlo – ritornata all’Italia solo nel 1954, in modo faticoso e cruento), papa Francesco, rilevando una specie di stanchezza verso la democrazia, di cui è sintomo l’alto numero dei non votanti, ha stimolato a riprendere la passione civile, ad elaborare e realizzare il progetto di una società partecipata e solidale. L’Italia non si può però immaginare senza l’Europa, e qui la memoria va ai grandi padri dell’Unione Europea, nel cui simbolo è stata posta una cifra mariana, la corona delle dodici stelle. E da Otranto, dobbiamo ribadire che l’Italia e l’Europa non possono stare senza il Mediterraneo, con l’impegno comune a che il Mare Nostro non sia mai più teatro di conflitti e tragedie, e realizzi la propria vocazione di culla di pensiero e di spiritualità, laboratorio di arte e di scienza, ambito di accoglienza e di pacifica convivenza.
È bello collocare nella scia dei Martiri quanti nel nostro tempo si sono impegnati per una società migliore, rimanendo vittime dei regimi, dei terrorismi, delle mafie: Pino Puglisi, Peppe Diana, Rosario Livatino, Aldo Moro, Vittorio Bachelet…
I Martiri ci insegnano che, quanto più lo sguardo dell’uomo si innalza al cielo e all’eternità, a Dio, tanto più l’uomo deve sentirsi impegnato ad amare la terra, a rendere la città terrena un anticipo della Gerusalemme celeste, rinnovandola con l’amore che è dono dello Spirito, organizzandone le istituzioni sulle basi della fraternità e della libertà, a servizio della uguale dignità di ogni uomo e di ogni donna, incominciando dai privilegiati del Vangelo, i poveri e i sofferenti.
Martiri perché operatori di pace
La via da percorrere per una terra che assomigli di più al Cielo, è l’amore. I Martiri hanno messo in pratica l’insegnamento dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (12, 21). Il male purtroppo c’è ed opera. Ma, come ha insegnato ancora papa Francesco, «c’è in mezzo a noi Qualcuno che è più forte del male, più forte delle mafie, delle trame oscure, di chi lucra sulla pelle dei disperati, di chi schiaccia gli altri con prepotenza… Qualcuno che ascolta da sempre la voce del sangue di Abele che grida dalla terra. I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio: non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti» (28 giugno 2017). Così hanno scelto di essere Antonio Primaldo e i suoi compagni nel 1480, e così siamo chiamati ad essere noi nel 2024. Essi ci spingono a seguire la loro via di cristiani fedeli al Cielo e fedeli alla Terra, perseverando sino alla fine nella sequela di Gesù e della Croce. L’amore è l’ultima parola, quella che Dio si è riservata nella risurrezione di Gesù, principio della nuova creazione e del rinnovamento dell’umanità. L’amore è più forte del male. In ogni situazione in cui l’amore vince, si anticipa il mondo nuovo, nuovo della novità dell’amore.Perciò i Martiri ci sostengono e ci dicono: «Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene».
E noi ci rivolgiamo a voi, Santi Martiri, nostri padri e fratelli. Vi benediciamo per la vostra testimonianza di amore al Signore e alla nostra città, di amore al Cielo e alla Terra. Intercedete per noi il dono della fede e della speranza. Sosteneteci nel martirio della quotidianità. Mettete nel nostro cuore la gioia di poter fare della vita e della morte un dono, la gioia che era nel vostro cuore, la gioia che era nel cuore del Signore Gesù. Amen.
Otranto, 14 agosto 2024
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo