Epifania Del Signore – Solennità – Anno B

Omelia nella prima presidenza di un novello sacerdote cappuccino

Forse ciò che celebriamo oggi è più importante di quello che abbiamo celebrato il 25 dicembre. Infatti, a cosa varrebbe la nascita del Figlio di Dio, se egli non si manifestasse a noi? Abbiamo bisogno che Dio si manifesti a noi. Abbiamo bisogno di chi ci manifesti Dio. Ecco perché ¾ carissimo fra Giuseppe Maria ¾ al vederti presiedere per la prima volta l’eucarestia in questa chiesa, noi proviamo una grandissima gioia, come quella che provarono i magi al vedere la stella. Poiché non diversa è la funzione del sacerdote rispetto a quella che svolse la stella verso i magi: entrambi hanno senso in quanto accompagnano all’incontro con Cristo. Questo dunque ti domandiamo, di accompagnarci a Gesù.

Risveglia in noi il desiderio di Dio, la consapevolezza che tutti siamo fatti per lui, ed il nostro cuore è inquieto finche non trova pace in lui. Risveglia in noi il desiderio di contemplare Dio per quanto possibile già qui sulla terra lì dove egli stabilisce di farsi incontrare da noi. Insegnaci a riscoprire la via della semplicità, che è la via che Dio ha scelto per giungere a noi, e che dunque è la via attraverso la quale noi possiamo giungere a Dio. Che cosa è più semplice di un bambino, di questo fratellino che Dio ci dona in Gesù affinché possiamo esserne orgogliosi a partire da lui riprendere con entusiasmo a camminare nella vita? (Penso in questo momento ai tuoi magnifici nipotini e alla gioiosa fierezza con cui mostrano la loro splendida sorellina, perché si conosca la sua bellezza, felici che sia amata colei che essi amano). Restituiscici il gusto di adorare, di contemplare Gesù e di stupirci per la sua presenza nella nostra vita. Tu sei un frate con un grande dono di preghiera. Don Tonino Bello diceva come gli sarebbe piaciuto che ¾ accanto ai tanti che gli chiedevano le più disparate forme di aiuto ¾ qualcuno un giorno gli avesse anche chiesto: «vescovo, insegnami a pregare». Ti auguro che molti ti chiedano di insegnare loro a pregare.

E mi permetto di consigliarti di portare sempre con te un po’ di oro, di incenso e di mirra. Un po’ di oro, il metallo più puro che esista ma che di solito si trova solo mescolato al fango delle miniere sotterranee in cui giace. Ebbene, ognuno di noi è così. Ognuno è pieno di tanto fango, nella povertà della sua umanità e del suo peccato; ma al contempo ognuno di noi reca in sé l’oro preziosissimo dell’immagine divina. Aiutaci, fra Giuseppe, a estrarre dal nostro fango l’oro di cui siamo portatori. Un po’ di mirra, il liquido narcotico che veniva usato per dare sollievo ai sofferenti e ai moribondi, e che fu offerto a Gesù sulla croce. Il tuo sacerdozio, fra Giuseppe, sia sorgente di sollievo per coloro che sono nella sofferenza, sorgente di fiducia e coraggio, sull’esempio del padre Pio da Pietrelcina al quale tu guardi come modello. Infine un po’ di incenso, il profumo che lega il cielo e la terra. Nella preghiera postcommunio della messa crismale il vescovo chiede a Dio che i cristiani spandano il buon profumo di Cristo. Profumare di Gesù! Possa tu essere un sacerdote del quale la gente debba esclamare: «Che buon profumo! È profumo di Gesù».

In dono ti offro la vicenda del quarto dei re magi. Veniva dall’Asia settentrionale, ed era il più gentile e generoso dei suoi compagni. Per il re che desiderava onorare, aveva predisposto in dono tessuti di lino purissimo, miele estratto dai fiori della sua steppa e perle pescate dalle acque limpide dei suoi fiumi. Ma nel recarsi a Gerusalemme incontrò un gruppo di lebbrosi. Spinto a compassione, donò loro i tessuti di lino perché potessero applicarli sulla loro pelle e placare un po’ il tormento della malattia, e si trattenne un anno per assisterli. Ripreso il cammino, incontrò un contadino poverissimo, che non aveva nulla da far mangiare ai suoi bambini. Commosso, gli donò il miele, e si trattenne un altro anno per aiutarlo a coltivare il suo terreno ingrato. Riprese il cammino, ed incontrò un villaggio di miserabili. Donò loro le perle perché potessero risollevarsi, e si trattenne ancora un anno per insegnar loro ¾ lui che era re ¾ il buon governo della comunità. Riprese quindi il cammino. Ma erano passati tre anni. Aveva ormai mancato l’appuntamento con i suoi tre compagni. Non aveva più doni per onorare il re che dovevano incontrare. Aveva perso di vista la stella e si sentiva come noi quando smarriamo la speranza nella nostra vita. In quel mentre, il pianto di una donna gli attraversò gli orecchi e il cuore. «Perché piangi, donna?». «Perché mio figlio, l’unico, è stato rinchiuso in carcere, in quanto per la nostra povertà non abbiamo rifuso il debito all’usuraio. E dovrà rimanere in carcere trent’anni. Che sarà di lui e di me?». «Come è possibile aiutarti, donna?». «Soltanto se qualcuno si sostituisse a mio figlio, io potrei riaverlo». «Lo farò io, avrai tuo figlio». Il figlio, come risorto, fu restituito alla madre, ed il re rimase in prigione trent’anni. Trascorso il tempo, il re fu liberato. Ma ormai era un’altra persona. Consumato dalle privazioni, era invecchiato e la febbre lo divorava. Tuttavia, sebbene fossero passati trentatre anni, il suo primo pensiero era sempre a Gerusalemme e al re che doveva onorare. Con quelle forze che gli rimanevano, si diresse a Gerusalemme. Giunto alle porte della città santa, si informò: «È qui il re dei Giudei?». «Non abbiamo nessun re che Cesare, qui», gli fu risposto, «ma c’è un poveretto che oggi è stato condannato a morte perché ha detto di essere il re dei giudei. Lo vedi? È quello lì, sulla croce». Il re fissò lo sguardo su colui che pendeva dalla croce. E lo riconobbe. Era di lui che era partito alla ricerca, trentatre anni prima. Si avvicinò al crocifisso e gli parlò: «Mio re! Perdonami. Sarei dovuto essere qui trentatre anni fa… E non ho più nulla da donarti…». Il crocifisso gli rispose: «Non temere, servo buono e fedele. I tuoi compagni mi hanno adorato, ma poi sono andati via. Tu invece in questi trentatre anni sei sempre stato con me, e nei poveri e nei sofferenti che hai servito e onorato, hai servito e onorato me. Oggi stesso, ti dico, sarai con me in paradiso».

Che vuol dire questa fiaba? Che chi ama, non sbaglia mai.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo