«Dopo che Giovanni fu imprigionato»
È importante notare la collocazione cronologica di questa pagina: «dopo che Giovanni fu imprigionato». Non possiamo entrare con assoluta esattezza nella concreta relazione tra Giovanni e Gesù, ma ci avvicineremo alla realtà se la inquadreremo nel rapporto fra maestro e discepolo. Il giovane Gesù considerava Giovanni come un maestro, tanto che da lui domanda di ricevere il battesimo. Giovanni poi certamente considerava Gesù un discepolo verso cui nutriva aspettative di successione, tanto che dalla prigione gli manda a chiedere se a lui colui che si doveva aspettare o si doveva aspettarne un altro. Ebbene, dopo che Giovanni viene imprigionato, Gesù incomincia il suo ministero. E come se si fosse detto: «Giovanni è stato imbavagliato, ora devo parlare io. Giovanni è stato immobilizzato, ora tocca a me». Gesù — potremmo dire — decide di scendere in campo. E compie i primi due gesti: la predicazione e la chiamata dei compagni.
I primi quattro compagni di Gesù
Questo secondo quadro lo abbiamo già contemplato la scorsa domenica nella versione giovannea. Vale la pena però di riprenderne i momenti salienti perché costituiscono le fasi in cui si articola ogni storia autentica di amore. Tutto incomincia con lo sguardo di Gesù. Gesù vede i quattro fratelli, e li chiama. Come deve essere stato forte e dolce un tale sguardo, se quegli uomini adulti e forse anche un po’ rozzi sentono il bisogno di lasciar tutto per seguire quello sguardo di amore… Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi guardato con amore, scelto, desiderato, apprezzato, approvato, e su ognuno di noi si posa lo sguardo di amore di Gesù, prolungamento dello sguardo di benedizione di Dio su ognuna delle sue creature. Ognuno di noi nello sguardo di Gesù pub ritrovarsi scelto, desiderato, apprezzato, approvato. Ma Gesù esige di essere riamato senza riserve. I primi due lasciano le reti, cioè gli strumenti di lavoro; gli altri due lasciano il padre, cioè la famiglia e l’identità di origine, — cioè lasciano semplicemente tutto. Nondimeno, la pretesa di Gesù non conduce all’impossessamento, perché non è amore quello che pretende di avere l’oggetto del desiderio tutto per sé. Gesù al contrario introduce in un amore inclusivo: esige tutto ma per condurre in una fraternità più ampia, prima quella della chiesa — i due fratelli ne acquistano altri due — e poi quella del mondo — poiché diventando «pescatori di uomini» Gesù accompagna i suoi ad incontrare ogni uomo e ogni donna della terra per inglobare ogni figlio e figlia di Dio nella fraternità che in lui si fonda.
La predicazione di Gesù
Se questo quadro sembra attagliarsi meglio a coloro ai quelli e quelle che Gesù chiama a stargli al fianco in una sequela di particolare somiglianza con lui (non dobbiamo escludere che anche in questa assemblea vi siano ragazzi e ragazze a cui Gesù stia chiedendo di seguirlo con tale speciale vicinanza), è senz’altro per tutti il sommario che riporta la predicazione di Gesù, importante perché sta all’inizio e nell’inizio vi è sempre anche il compimento. Che cosa ci annuncia Gesù? Il Signore esordisce dichiarando che «il tempo è compiuto», preceduto da Giona il quale annuncia agli abitanti della megalopoli di Ninive che hanno solo quaranta giorni per convertirsi ed echeggiato da Paolo secondo cui «il tempo si è fatto breve e passa la scena di questo mondo». Gesù incomincia riportandoci alla verità del nostro limite. Il nostro corpo ci dice continuamente che siamo limitati. La nostra mente ci dice continuamente che siamo limitati. E anche il nostro tempo è limitato. Quand’anche avessimo davanti cent’anni, si tratterebbe comunque di un tempo computato, determinato, finito. Lo sprone di Gesù non è tuttavia per entrare nel panico bensì per entrare nella saggezza. Gesù dichiara che è arrivato il tempo giusto, cioè quello di prendere in mano la nostra esistenza, di decidere, di dare il fondamento adatto alla nostra vita stabilendola non sulle cose che passano ma su quelle che sono da Dio e per sempre. La spinta al cambiamento non viene però in Gesù dall’annunzio angosciante di un giudizio tremendo, come poteva essere per Giovanni. Gesù annunzia che davanti a noi c’è qualcosa di bello, come è il Regno di Dio, cioè la fraternità di una comunione universale e totale, e questo e davvero il ‘vangelo’ cioè la bella notizia di cui siamo in attesa. E non è la stessa cosa cambiare per il terrore di un disastro da evitare o cambiare per l’aspettativa di un bene futuro davanti a noi. Da ultimo Gesù impone: «convertitevi!», dove mi piacerebbe però che la nostra attenzione fosse meno sul verbo e più sul complemento oggetto: convertitevi, dice Gesù, cioè cambiate voi stessi: non i greci o i romani o gli egiziani ma voi stessi. Può infatti annidarsi in noi la mentalità per cui gli altri sono l’impedimento alla nostra felicità. «Se mio marito, mia moglie ecc. fossero diversi, io allora finalmente potrei incominciare a vivere e sarei felice…». È una mentalità che non funziona. L’unica porzione di mondo su cui abbiamo un centro controllo siamo noi stessi, e gli altri Il cambieremo solo per contagio, non per costrizione ma per attrazione suscitata dal positivo che essi avranno visto sviluppato in noi. Se dunque vogliamo un mondo migliore, cominciamo col migliorare quella parte di mondo che siamo noi. Questo ci dice Gesù: incomincia da te stesso!
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo