Carissimi fratelli, carissime sorelle,
è ormai inoltrato l’anno giubilare dedicato alla speranza. Dopo aver toccato i nessi con la verità e con la bellezza, dedico la lettera pasquale alla speranza dell’eternità.
L’eternità nel tempo, il tempo nell’eternità
Il bene non è veramente tale, se non è per sempre. Il nostro cuore porta in sé un desiderio insopprimibile di eternità, ma non di una durata senza fine di questa vita, della vita così com’è ogni giorno, perché anzi ciò potrebbe essere insopportabile, ma della vita come dovrebbe essere e come la desideriamo, della vita trasfigurata e pienamente realizzata, contrassegnata dall’attributo dell’eternità.
Ora, la Risurrezione di Gesù Crocifisso implica l’ingresso della nostra umanità nell’eternità di Dio. In Gesù risorto, il Padre ci dona lo Spirito Santo, che è la vita stessa di Dio. Già qui sulla terra ne partecipiamo tramite la grazia del Battesimo e dell’Eucaristia, in attesa di goderla in cielo in modo sicuro e definitivo. In Gesù Risorto si compie dunque la nostra speranza di eternità.
Nell’ora della morte, chiamami
Un frutto immediato della redenzione è dunque che la morte non è più la parola definitiva sulla nostra condizione. Nel mistero pasquale, siamo liberati dalla paura della morte, e perciò un uomo di fede come San Francesco, nel Cantico di frate Sole, riesce a chiamarla “sorella” – «Laudato si’, mi’ Signore, per sora Morte corporale» – perché essa è ormai un passaggio, che introduce all’incontro pieno con Dio.
Ma si tratta comunque di un passaggio difficile. Anche quando è illuminato dalla fede, l’evento della morte è un mistero drammatico, dal quale «nullu homo vivente pò scappare». Ecco che allora la fede in Gesù Risorto deve insegnarci a vivere bene la nostra morte. Per quanto l’argomento sia scomodo, non servirebbe rimuoverlo indefinitamente. Non è bene pensarci continuamente, ma non è bene neanche omettere di confrontarsi con la morte. Anzi è necessario chiedere la grazia di morire bene, cioè di morire in Gesù, di attraversare la morte come l’ha attraversata Gesù. Lo facciamo, fin da bambini, chiedendo alla Madonna di pregare per noi «nell’ora della nostra morte». Lo facciamo, affidandoci a san Giuseppe, patrono della buona morte perché spirato tra Gesù e Maria. Ancor più, allo Spirito Santo nella Sequenza domandiamo una morte santa. E a Gesù, nell’Anima Christi, con sant’Ignazio di Loyola, ci rivolgiamo affinché la nostra morte possa essere un capitolo della nostra storia vocazionale, il sigillo dell’amicizia con Lui: «nell’ora della morte, chiamami».
Domandiamo, per noi e per tutti, il dono di vivere e morire bene, nella grazia di Dio.
La vita del mondo che verrà
Non abbiamo mezzi per descrivere la vita eterna, poiché sarà qualcosa di totalmente altro, rispetto alla vita nella carne, ma sappiamo dalla Rivelazione che sarà il compimento della Pasqua e l’ammissione alla piena comunione con Dio, il Vivente, Eterno Amante, Eterno Amato, Eterno Amore.
Sarà la piena comunione con il Padre, che è l’Alfa e l’Omega, Egli «che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17). Così afferma Gesù: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).
Appunto Gesù sarà anche in cielo il rivelatore del Padre, il pastore che conduce ai pascoli della vita eterna: «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole» (Gv 5, 21). E ancora: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,27-30).
Lo Spirito Santo già ora è la caparra, che con la sua presenza ci dona questa vita e ci introduce in questa comunione. Infatti, «è lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla» (Gv 6,63). Come insegna l’Apostolo, «se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).
Questo è ciò che ci offre la Chiesa. Nel Rituale Romano, il ministro del Battesimo domanda al catecumeno: «Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?», e la risposta è: «La fede». E poi: «Che cosa ti dona la fede?». Il catecumeno risponde ancora: «La vita eterna». Davvero possiamo esclamare che «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1Cor 2,9).
Credo la comunione dei Santi
La vita eterna sarà comunione non solo con la Santissima Trinità, ma con tutta l’umanità, e anzi in qualche modo con l’intero cosmo e con tutte le creature, poiché «l’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21).
Ma è in particolare sulla verità della comunione con i nostri fratelli defunti, che vorrei attirare la vostra attenzione: le anime sante del Purgatorio e i santi del Paradiso, sia i santi canonizzati, sia i santi “della porta accanto”, come li definisce Papa Francesco (Gaudete et exsultate, 6-9). Sarà meraviglioso incontrare le persone che abbiamo amato e ci hanno amato, ma non sono più con noi nel pellegrinaggio terreno. San Bernardo offre le parole per descrivere questo nostro desiderio: «Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi» (Discorsi, 2).
Vita, dolcezza, speranza nostra
Tutte le verità di fede ricevono una luce speciale in Maria Santissima, e così è anche per le verità concernenti la vita eterna. La speranza che è Gesù per tutta l’umanità, si è già attuata in Maria. Perciò il Concilio insegna che «la Madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà aver il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (Lumen gentium, 68). Con le parole di san Bernardo, Maria è la stella che ci orienta nel cammino verso la Gerusalemme celeste.
Ringraziamo il Signore per i Suoi doni. Camminiamo nel pellegrinaggio attraverso il tempo, con la gioia nel cuore, perché la meta certa è la vita eterna. Auguri!
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo di Otranto