VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

La Bibbia (con il mondo orientale) è più vicina al vero rispetto a noi occidentali, allorché sente l’uomo come un’unità indissolubile nelle sue dimensioni corporea, psicologica e spirituale. Quando si ammala il corpo, molto spesso è perché è ammalata l’anima. Sul corpo si ritrovano le tracce delle nostre sofferenze interiori. È vero anche il contrario, poiché una bella notizia può allargare l’anima alla speranza e far circolare nel corpo energie ristoratrici e risananti. Se questo è vero per il corpo in generale, è vero specialmente per la pelle, l’organo più esteso di tutto il nostro corpo, un grande sacco che ci protegge ma che al tempo stesso subisce l’impatto di tutti i colpi che ci provengono dalla vita esterna. La pelle con i suoi segni è come una mappa della nostra vita e delle nostre sofferenze.

Ci avviciniamo in questo modo al gesto di salvezza compiuto da Gesù nella pagina evangelica. Da un lato c’è l’atteggiamento di Israele nei confronti del malato di lebbra, tremendamente descritto dalla pagina del Levitico. Il lebbroso è segregato dalla comunità per motivi igienici, per impedire che possa produrre contagio, e dunque è tagliato fuori da ogni relazione. Inoltre è tagliato fuori per motivi religiosi in quanto la sua malattia è considerata un castigo divino per peccati da lui commessi. In una parola, il lebbroso è un uomo già morto mentre è ancora vivo, colpito nel corpo, nelle relazioni, nel rapporto con Dio.

Dall’altro lato c’è l’atteggiamento di Gesù verso il lebbroso che gli si avvicina implorandolo in ginocchio di guarirlo. Gesù antepone l’uomo sofferente alla legge, obbedisce alla compassione e guarisce il lebbroso, stabilendo con lui il contatto, toccandolo, inglobandolo nella relazione, accettandolo. Il dono di salvezza è cosi ben più grande del recupero della salute fisica. Nel lebbroso rifiorisce non solo la pelle ma — molto più — la fiducia, la possibilità di guardare avanti nella vita con speranza.

Gesù sorgente della guarigione

Il Signore Gesù viene presentato come la sorgente della guarigione, come colui nell’incontro col quale viene ripristinata la vita in tutte le sue possibilità. Ora, essere cristiani significa disporsi a percorrere un cammino di guarigione. Tutti siamo feriti. Tutti abbiamo cicatrici appena rimarginate o piaghe tuttora aperte, cagionate da noi stessi, o dagli altri, o dalla cecità della natura. Seguire Gesù significa avere aperta la possibilità di guarire. Non in modo magico, naturalmente, ma attraverso la preghiera, I’ascolto della Parola, la vita sacramentale. In tal modo si creano in noi le stesse disposizioni interiori, gli stessi sentimenti che erano in Gesù, pieno di Spirito Santo. Abbiamo mai fatto caso che i vangeli presentano si Gesù nella sua fragilità, stanco, affamato, assetato, triste, angosciato, ma mai malato? Non che ci sarebbe qualcosa di male a immaginare Gesù raffreddato o colpito da qualche malattia ‘obbligatoria’ come quelle dei bambini; ma è un fatto che I’unione con Dio, perfetta in Gesù, è matrice di equilibrio e padronanza di se, e lo Spirito Santo è datore di vita e dunque anche datore della salute fisica.

Gesù compassionevole

Gesù antepone a tutto la sollecitudine verso l’uomo sofferente. Gesù è capace di compassione, cioè di soffrire le sofferenze dell’altro, di farsi accogliente per fare suo il patire dell’uomo che egli incontra net suo cammino. Prima e fuori di Gesù, spietatezza ed esclusione verso il debole sofferente. Con Gesù viene nel mondo la compassione. Tutti i grandi innamorati di Gesù hanno allargato il cuore alla compassione, come — per rimanere nell’ambito dell’attenzione ai lebbrosi — Francesco d’Assisi e Raoul Foullerau. Francesco non solo donò una moneta ma baciò il lebbroso, donandogli accoglienza e valore d’uomo. Foullerau gridava all’occidente sazio e militarizzato che due bombardieri, l’uno statunitense e l’altro sovietico, sarebbero bastati a salvare tutti i lebbrosi, e che «non possiamo essere felici da soli». Guardiamoci intorno e apriamo il nostro cuore alla compassione verso le schiere di feriti dalla vita che ci chiedono sollievo, e il nostro cuore — come indicava la colletta — diverrà la dimora di Dio.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo