XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

L’invio del profeta Amos

Nella prima lettura, sono messe a confronto due figure affatto diverse. Da un lato, il sacerdote del santuario del re, un chierico prezzolato, abituato a dire quello che fa piacere all’establishment. Dall’altro lato, Amos, soggetto alla Parola di Dio. Il primo invita il secondo ad allontanarsi, a guadagnarsi il pane altrove. Il secondo replica che, se parla, non è per soldi, perché ben aveva un suo mestiere. Parla invece perché vi è costretto dalla forza della Parola. Parla non per compiacere o per guadagnare, ma per essere obbediente alla Verità, senza curarsi che questo possa disturbare o procurargli danni. È profeta perché vi è chiamato.

L’invio dei Dodici apostoli

Gesù vuole che i suoi compagni siano il prolungamento e la moltiplicazione della sua presenza luminosa e risanante. Dà loro alcune regole. Andare a due a due, perché è facile parlare d’amore quando non c’è nessuno accanto che ti pesta i piedi; gli amici di Gesù devono invece essere il canale di Gesù anzitutto con il bene che si vogliono. Puntare all’essenziale, e mantenere fiducia nell’aiuto del Padre. Non è dalla buona organizzazione dei mezzi che dipende il risultato, e comunque i mezzi sono appunto mezzi e non fine. Non aspettarsi di essere accolti, e lasciare comunque liberigli ascoltatori di accettare o respingere la Parola. Infatti, si tratta di amore, e l’amore esige una risposta libera e gioiosa e non sa che farsene di un amore costretto o comprato, che non sarebbe amore. Bisogna però mettere l’ascoltatore di fronte alla responsabilità dell’accoglienza o del rifiuto. Lo scuotere la polvere dei piedi è un gesto orientale per esprimere il diniego di responsabilità, che sono interamente a carico dell’altro: «io ho fatto la mia parte, ora tocca a te». In ogni caso, i compagni di Gesù devono essere degli altri Gesù, compiendo l’opera di illuminazione e guarigione che compie lui: amare la persona concreta che vive e soffre.

L’amore e la verità

La prima coppia di valori, quasi due gemelli, è costituita dall’amore e della verità. Sono due dimensioni del mistero di Dio, il quale è Somma Carità ed Eterna Verità, ma sono anche due dimensioni del cuore dell’uomo, il quale nel suo spirito anela alla verità e all’amore. Lo proclamava anche il salmo responsoriale: «Amore e verità si incontreranno…». Ci orienta in ciò la colletta: «O Dio, che mostri agli erranti la luce della verità…, concedi a tutti coloro che si professano cristiani, di respingere ciò ch’è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme».L’amore esige di essere integrato dalla verità. Se infatti amare qualcuno significa porsi ai piedi della sua crescita e accompagnarlo a diventare se stesso, un tale processo dovrà comunque includere la correzione, cioè l’impegno a che la persona amata entri nella verità. Ce lo ha confermato il papa Benedetto XVI che alla sua ultima enciclica ha dato il titolo Caritas in veritate (rovesciando il paolino Veritas in caritate). D’altra parte la verità dev’essere supportata dall’amore. Soltanto se, nel dirgli quella che secondo noi è la verità, l’altro si sentirà amato, la nostra azione sarà efficace. E capiremo che nel dire la verità stiamo agendo per una necessità d’amore percependo nel nostro spirito un dolore e non una soddisfazione: ne faremmo volentieri a meno, ma non possiamo non parlare…

La povertà e la ricchezza

Questo invito evangelico (nella versione di Mt) ebbe una grande influenza su Francesco d’Assisi, e sulla sua scelta della povertà. Non tutti siamo chiamati a essere frati, o a essere francescani. Tutti però siamo chiamati a vivere la povertà evangelica, essenziale per tutti i cristiani. E questa consiste nel considerare le cose dei mezzi e le persone dei fini. Non è poco, in un contesto che ci spinge a idolatrare le cose, che sono senz’altro buone e utili, ma devono essere finalizzate alla loro destinazione per le persone. Le cose non hanno valore in sé, ma secondo il valore che ad esse attribuiamo noi. Un pezzo di oro o di pane può avere un valore ben diverso a seconda che se ne tratti in una metropoli o in un deserto. Uno stesso oggetto può essere insignificante o spregevole per qualcuno che vi è indifferente, e preziosissimo per un collezionista. È dunque il nostro cuore che stabilisce il valore delle cose. È il nostro cuore che stabilisce quel che per noi è ricchezza. E qual è la vera ricchezza? «Donaci, o Dio, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio…». Non dobbiamo avere nulla di più caro di Gesù. Gesù è la vera ricchezza. Più caro anche di chi è al nostro fianco e dei nostri figli, perché chi ama idolatrando, va incontro alla delusione e poi all’odio e al rigetto per l’amato, mentre chi mette al primo posto Gesù, sa amare le persone che Dio ha affidato al suo affetto e alla sua responsabilità, rispettandone l’unicità, perdonandone le incorrispondenze, accettandone serenamente i limiti. Chi mette al primo posto Gesù, e non ha niente di più caro, ha tutti cari in Gesù, e li ama meglio e più veramente. Li ama come Gesù, che è la vera ricchezza.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo