XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Giosuè spinge il popolo ad una decisione

Termina la proclamazione del VI capitolo del vangelo giovanneo, ed opportunamente la liturgia ci fa ascoltare la pagina della prima lettura, in cui è contenuto l’invito ad una decisione. Dopo quarant’anni di marcia nel deserto, Israele, condotto dapprima da Mosè e adesso dal successore Giosuè, è chiamato a fare una scelta. Dopo il periodo dell’Egitto, segnato dalla schiavitù, Israele è chiamato a passare al servizio del Signore e così entrare nella terra promessa. Qualcuno potrebbe obiettare: «E quale differenza c’è? Da un servizio si passa ad un altro, da una dipendenza ad un’altra dipendenza». Non potrebbe invece esservi differenza più grande, perché l’idolatria è sempre un’esperienza di schiavitù. Se scegliamo di dedicare ad altro che a Dio la nostra vita, ci ritroveremo schiavi della nostra passione. Facciamo l’esempio dell’idolo della carriera: un uomo spende le sue energie per arrivare ad essere il primo in qualche posto, e dopo che vi è riuscito deve andare in pensione: alla fine ha deciso lui della sua vita o non è stato piuttosto l’idolo della carriera a dominarlo? Al contrario, servire Dio significa fare l’esperienza della libertà. Con il salmista abbiamo pregato che «il Signore è vicino a chi lo serve, è vicino a chi ha il cuore ferito, libera il giusto da tutte le sventure, chi in lui si rifugia non sarà condannato». Servire Dio è esperienza di liberazione. Per questo a Giosuè il popolo di Israele risponde che solo il Signore ha compiuto opere di salvezza e di liberazione: «Noi vogliamo servire il Signore, perché egli è il nostro Dio». Come possiamo noi oggi servire il Signore e fare la stessa esperienza di ingresso nella libertà? Attraverso la fede in Gesù.

Gesù ferito dal rifiuto dei suoi discepoli

Passiamo così alla prima parte del vangelo, in cui viene fotografato un grave momento nell’itinerario del Signore Gesù, quello che si chiama «crisi galilaica». Gesù viene abbandonato da un gran numero fra quelli che l’avevano seguito fino a quel momento. Gesù conosce la ferita dell’essere abbandonato. Non la folla generica, ma i suoi discepoli, coloro ai quali egli aveva dedicato la sua cura e le sue energie migliori, gli si rivoltano contro e lo rifiutano. Più precisamente l’evangelista indica che la ferita di essere rifiutato è duplice. Gesù da un lato incontra il rifiuto della fiducia. Amare significa in primo luogo prestare e ricevere fiducia. Com’è doloroso accorgerci che le persone che amiamo non si fidano di noi… Dall’altro lato Gesù incontra il tradimento, e chi ha fatto quest’esperienza sa bene che è il dolore più grande possibile… Gesù viene dunque spezzato dal rifiuto, Gesù viene respinto da coloro che gli stanno a cuore. Ebbene: noi spesso definiamo Gesù il redentore, il salvatore… Ma cosa vuol dire tale espressione alla quale spesso non sappiamo dare un contenuto? Tra i mille significati ch’essa detiene, oggi riteniamo questo: Gesù è il nostro salvatore perché la sua storia è la storia di ognuno di noi. Nella sua storia vi è la nostra storia, nella nostra storia vi è la sua storia. Nulla di ciò che noi viviamo gli è estraneo, ma ogni nostro avvenimento trova accoglienza, comprensione e redenzione, in lui, infine nella sua croce e risurrezione. Perciò, allorché dovesse capitarci di fare la stessa esperienza, allorché dovesse accadere anche a noi di vederci respinti da coloro abbiamo dedicato il meglio di noi stessi, di vederci rifiutati e traditi da coloro che erano la nostra ragione di vita, – ebbene, rileggiamo questa ferita nella ferita di Gesù, e rallegriamoci di essere associati a lui nel medesimo destino, perché questo è l’essenziale, essere vicini a Gesù.

«Volete andarvene anche voi?»

Andiamo così alla seconda parte del vangelo, in cui si incontrano due domande, la domanda di Gesù a Pietro e la domanda di Pietro a Gesù. La prima domanda, quella avanzata dal Signore, rivela in tutta la sua potente luminosità, la libertà di Gesù. Gesù è appena stato lasciato da una grande quantità di persone, ma non fa nulla per tenere avvinghiati a sé i Dodici, anzi rivolge loro questa domanda per restituire loro la loro libertà. Non vuole essere seguito se non da persone libere, da persone che lo amano. Ed era così, perché Gesù per primo era una persona libera. Mai Gesù si è comportato in modo da catturare il consenso altrui, ma egli ha fatto nulla in vista della popolarità e del consenso, e la pagina evangelica odierna lo mostra bene. Gesù si è preoccupato solo di essere fedele a Dio e alla verità, e – si sa – ciò non porta con certezza a grandi consensi… Ciò che c’era nell’animo di Gesù è ben fotografato da ciò che abbiamo chiesto nella colletta: Gesù amava ciò che il Padre gli aveva comanda e desiderava ciò che il Padre gli aveva promesso, e così fra le alterne vicende del mondo il suo cuore era fisso dov’è la vera gioia, in Dio appunto.

La domanda del Signore, tuttavia, può ben essere segnata da una seconda intonazione. Nella sua umanità, infatti, se Gesù non si lasciava condizionare dall’opinione altrui, non vi era però indifferente, nel senso che la sua vulnerabilità lo faceva comunque dolere del rifiuto, quando vi andava incontro. Perciò il «volete andarvene anche voi?» ben potrebbe essere riformulato con «anche voi mi abbandonerete? Anche da voi soffrirò il rifiuto? Sto per ricevere anche da voi questa ferita? Almeno voi vorrete restare insieme a me?».

«Signore, da chi andremo?»

Ecco allora la risposta di Pietro: «Da chi potremmo andare Gesù?». Gesù voleva molto bene a Pietro, ma anche Pietro voleva molto bene a Gesù. La sua risposta, allora, sia la nostra risposta. Anche noi vogliamo molto bene a Gesù. Da esseri umani, da poveri, da peccatori qual io riconosco di essere, con mille debolezze e ritardi e contraddizioni… Ma noi vogliamo molto bene a Gesù. E dove altro potremmo andare se non da lui e con lui? Solo Gesù ha parole che sono spirito e vita e danno la vita eterna. Solo Gesù, cioè, con la sua parola ci dà un orientamento per sapere che fare in quella manciata di giorni che ci è toccata in sorte. Solo Gesù ci comunica la forza per camminare, specie in certi giorni quanto ci svegliamo e non vorremmo lasciare il letto al pensiero di quello che ci aspetta. Solo Gesù ci aiuta non solo a cavarcela qui sulla terra, ma con la sua morte e risurrezione ci traghetta nella vita eterna, oltre il limite che tutte le nostre cose patiscono.

Per concludere come abbiamo iniziato, anche a noi la liturgia chiede di prendere una decisione. Chissà perché siamo cristiani? Forse perché siamo nati in Italia, o per qualche altra ragione accidentale… Prima o poi nella vita dobbiamo però scegliere consapevolmente e liberamente Gesù. Facciamolo oggi, nuovamente o per la prima volta. Tra un po’, nel comunicarci a lui mediante i segni del pane e del vino, pronunceremo la parola «Amen». Pronunciamola allora per dire il nostro assenso a Gesù, come ci si afferra ad una roccia per non precipitare, come ci si orienta alla stella polare per non smarrirsi nel cammino, come l’amante si aggrappa all’amore dell’amato per continuare a vivere.

+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo