La nostra riflessione deve muoversi come una nave tra due iceberg. Da un lato c’è la nostra dura esperienza quotidiana, ove sperimentiamo che c’è costantemente bisogno di denaro e di cose. C’è bisogno di denaro per nutrirsi, per vestirsi, per l’istruzione, per la salute… C’è bisogno di denaro anche per fare il bene, per esempio in aiuto ai poveri. C’è bisogno di denaro persino per celebrare questa eucaristia, poiché c’è stato bisogno di denaro per costruire questa chiesa, ce n’è bisogno ora per la sua manutenzione, per pagare l’illuminazione, per le vesti e i libri che si usano nella liturgia… Dall’altro lato c’è però l’affermazione di Gesù: «quanto difficilmente…», che Gesù non sminuisce, anzi rincara: «è più facile che un cammello…». C’è veramente da rimanere stupefatti e sbigottiti, come Marco ci dice dei discepoli! Per una retta navigazione dobbiamo allora rispondere a due domande: quando e perché.
Quando le ricchezze sono un pericolo?
Il denaro ed i beni sono uno strumento della Provvidenza. Ma se smettono di essere un mezzo e diventano un fine, ecco che si trasformano in qualcosa di diabolico, in un idolo, col linguaggio biblico. Ci sono uomini e donne che vivono per il denaro, per l’automobile, per l’appartamento, per il vestito, per la collezione di questo o quell’altro. Con grande sacrificio si impegna la vita a conquistare cose, e dopo averle raggiunte quanto dura la gratificazione? Un mese, un giorno o forse un minuto… Si arriva al termine dell’esistenza e si deve amaramente costatare che la si è sprecata per obbiettivi che non valevano il sacrificio. San Francesco ha una pagina tragicomica sul moribondo impenitente. Le cose sono buone finché sono al nostro servizio. Quando da mezzo diventano un fine, e noi siamo al servizio delle cose, ecco che la ricchezza da beneficio si è trasformata in pericolo.
Perché le ricchezze diventano un pericolo?
Noi abbiamo paura. Abbiamo paura della malattia, dell’insuccesso, dell’incomprensione, della vecchiaia e finalmente della morte. E allora cerchiamo di procurarci una sicurezza, e accumuliamo, accumuliamo… Anche gli animali accumulano per l’inverno: gli scoiattoli, gli uccellini… Solo che loro lo fanno nella misura del necessario, mentre noi uomini esageriamo, accumuliamo smisuratamente, avidamente, ingordamente… Perché? Proprio perché sappiamo che qualunque quantità non basterà mai a risolvere tutti i problemi e specialmente il problema finale. Un serpente che si morde la coda! E allora? Dove trovare la sicurezza di cui abbiamo bisogno?
«Gesù, fissatolo, lo amò»
Quanto dura e fredda è la solitudine di coloro che non sono mai stati riconosciuti da nessuno, di coloro di cui mai nessuno si è innamorato, di coloro che non hanno mai avuto qualcuno che li abbracciasse e dicesse loro: «com’è bello che tu ci sia, tu sei per me unico, ti voglio bene!». E invece com’è dolce, risanante e vitalizzante sentirsi amati, sentirsi guardare con amore, nelle mille forme in cui questo può avvenire, dalla lettera di un amico al grazie da parte di qualcuno a cui abbiamo prestato un servizio. Com’è bello sentirsi guardare con amore! Questo giovane si è sentito guardare con amore di Gesù! Ma – al di là di come ci abbiano trattato gli altri – ognuno di noi è guardato con amore con Gesù! Questa è la vera ricchezza: lo sguardo di amore di Gesù che si fissa su ognuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle. In questo sguardo, che è il prolungamento dello sguardo di benedizione del Padre, ognuno di noi può sentirsi amato. Ognuno di noi è salvo dall’angoscia e dalla solitudine nello sguardo di amore del Figlio del Dio che «solo è buono», e a cui «niente è impossibile». Dio è la vera sicurezza, la roccia poggiandoci sulla quale la nostra vita è custodita.
Dire di sì / dire di no a Gesù
Questo vangelo ci mette dinanzi alla drammatica alternativa che al Signore Gesù si può dire di sì, ma si può anche dire di no. Si può dire di no. Che sciocco questo giovane ad aver detto di no allo sguardo d’amore di Gesù! Che sciocco per aver preferito le sue quattro cianfrusaglie all’amore! Qual è la sorte di chi dice no a questo sguardo e all’amore? L’anonimato, la tristezza e l’afflizione, come nota l’evangelista Marco. È brutto dire no all’amore. Si può dire di sì. C’è stato un altro giovane ricco, ottocento anni fa, che pure si è sentito guardare con amore da Gesù e però ha saputo dire di sì. Il suo nome è Francesco d’Assisi, che pur essendo vissuto nella radicale povertà di beni esteriori, ha tuttavia conquistato un’immensa ricchezza interiore, ed è attraverso i secoli un maestro di umanità ed una sorgente di luce e di gioia. Qualcuno dirà che ciò che ha fatto Francesco è riservato a lui solo, o ai frati, o ai ragazzi e alle ragazze della Gioventù Francescana. Alcune sue soluzioni pratiche senz’altro sì, ma l’anteposizione di Gesù come prima ricchezza a tutte le altre ricchezze siamo chiamati a viverla tutti. Una coppia di amici mi ha incontrato. […] «Vogliamo donare il denaro ricevuto in dono al nostro matrimonio ai missionari e ai loro poveri!». Sono rimasto giudicato ed edificato. Questa giovane coppia ha del denaro in meno nella tasca, ma ha nel cuore una gioia che nessun capitale può acquistare. Sì, la gioia, perché – come ha detto Gesù – c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
La sapienza del cuore
Ebbene, ognuno di noi, ogni giorno, è messo dinanzi all’alternativa di dire di sì o di no a Gesù e alla sua prospettiva. Ognuno di noi è sfidato a seguire il vangelo o a voltargli le spalle. Chiediamo il dono dello Spirito santo, che reca con sé quanto abbiamo chiesto nel salmo responsoriale, la «sapienza del cuore», per scegliere ogni giorno e sempre la via di Gesù, e della sua presenza nella nostra vita, unica vera ricchezza.
+ Francesco Neri OFMCap
Arcivescovo